venerdì 28 gennaio 2011

IL “BURN OUT” IN “PILLOLE”

Ciao.

Allora, vediamo se riesco a trovare le parole più esplicative.

Nell'affrontare l'argomento sul mio blog passo dopo passo si è
sviluppato il desiderio che queste nuove tecnologie potessero fungere da supporto nell'apprendere una modalità lavorativa, soprattutto nelle professioni di aiuto, che potesse rivelarsi gratificante oltreché per, nel nostro  caso, l'educando anche per l'educatore.

Ho iniziato affrontando prima di tutto un rischio molto pregnante per chi opera in questo campo.

Dopo aver affrontato il "limite" mi piacerebbe farlo divenire "risorsa".

Molto spesso, mi sono accorta che solo una serena accettazione dei nostri limiti può aiutarci a creare anche tutta una serie di risorse per essere "contenti" delle nostre azioni. Vediamo se ci riuscirò.....

Intanto vi offro "in pillole" una sintesi di quanto sono "spiluccare" un po' qua ed un po' là......

Vi chiederete perché vi propongo questo argomento ....
...... perché ci sono passata e so quanto male mi ha fatto.
...... Mi piacerebbe che la mia esperienza potesse divenire "nuova linfa" per nutrire "nuovi germogli"!!!

La malattia, definita sindrome di "burn out", consiste in un esaurimento delle emozioni e in una riduzione della capacità professionali che si esprime in una costellazione di sintomi: somatizzazioni, apatia, eccessiva stanchezza, risentimento, propensione agli incidenti.
Intorno alla metà degli anni settanta è passato a indicare una sindrome tipica delle professioni di aiuto, caratterizzata da un distacco emotivo rispetto agli assistiti e dalla perdita di interesse per il proprio lavoro. Vi si distinguono quattro fasi:
· la fase dell'entusiasmo idealistico e delle nobili aspirazioni;
· la fase dello stress lavorativo, in cui si avverte un progressivo squilibrio tra richieste e risorse;
· la fase di esaurimento, in cui si comincia a pensare di non aiutare realmente nessuno, e in cui compare la tensione emotiva, l'irritabilità, l'ansia;
· la fase della conclusione difensiva o dell'alienazione, con totale disinvestimento emotivo nel lavoro, apatia, rigidità e cinismo.

Inoltre sono stati individuati tratti caratteriali che predispongono al burn out:
· l'ansia nevrotica, propria di quelle persone che si pongono mete eccessive e che si puniscono se non le raggiungono;
· uno stile di vita attivo, competitivo, in lotta contro il tempo;
· la rigidità, cioè l'incapacità di adattarsi alle richieste sempre mutevoli dell'ambiente esterno;
· l'introversione.

Sintomi fisici
· malessere generale
· disturbi del sonno
· disturbi gastrointestinali
· perdita di peso
· frequente mal di testa
· difficoltà sessuali

Sintomi comportamentali
· impazienza eccessiva
· impulsività
· irritabilità e aggressività
· abuso di psicofarmaci e di alcol
· conflitti in famiglia e con il partner

Sintomi cognitivo-affettivi
· distacco emotivo dai malati, non disponibilità verso i loro familiari (evitamento delle relazioni, delle visite, delle telefonate)
· rigidità intellettuale, utilizzo di un modello lavorativo stereotipato con procedure standardizzate
· negativismo, atteggiamento critico verso i colleghi
· mancanza di entusiasmo nel lavoro e fuori dal lavoro
· cinismo
· depressione

E’ stato anche presentato un disegno di legge alla fine del 1998 dal senatore verde Athos De Luca per il riconoscimento degli effetti collaterali di alcune professioni psicologicamente e fisicamente usuranti. “Ci sono tutti, medici, psicologi, assistenti sociali, anche professioni cioè in cui il burn out è stato poco descritto. Tuttavia , viene fatto da molti notare, sono del tutto discutibili i benefici previsti dal disegno di legge: invece che strategie di prevenzione o di cura, si propone l'agevolazione della pensione anticipata, quando è noto che andare in pensione può solo peggiorare uno stato psicologico già deteriorato».

E’ importante riconoscere le prime avvisaglie, in modo da
intervenire prima che compaiano anche i sintomi fisici e prima che il malessere si ripercuota sulla vita familiare e sessuale.
Esiste per questo una scala di valutazione, ideata e validata da Christina Maslach, psicologa dell'Università di Berkeley in California, che permette di identificare il burn out sul nascere. Studi recenti hanno inoltre individuato alcune strategie di cura.
Quelle individuali comprendono le tecniche di rilassamento e la psicoterapia. E' utile anche favorire alcuni meccanismi di difesa, come il saper ricordare che la vita è altrove, fuori dall'ospedale e dall'ambiente lavorativo. A questo scopo è importante praticare sport e coltivare hobby.

Esistono poi strategie organizzative e di gruppo. Un ambiente lavorativo gratificante dal punto di vista umano allontana il burn out, così come la condivisione con i colleghi del senso di frustrazione e dell'angoscia. Ed è importante che nell'organizzazione del lavoro si eviti di caricare la singola persona, così come di creare conflitti di ruolo. Gli obiettivi devono infine essere ben definiti. Se la guarigione non è possibile, lo scopo deve diventare trovare dei palliativi: e questi, se ben condotti, devono essere considerati un successo.

3 commenti:

  1. Grazie Raffaella per questa breve e incisiva descrizione.
    Il nostro è un lavoro molto delicato, o meglio tutti i lavori che vedono il contatto con gli altri sono delicati.
    Io seguo bambini con DSA da qualche anno, vado a casa dei ragazzi ma per fortuna collaboro con dei centri che sono per me un costante appoggio. Fare degli incontri periodici con psicologhe, logopediste e insegnanti mi aiuta a "monitorare" il mio percorso e confrontarmi, avere dei punti di riferimento. Mi rendo conto che allo "scadere" del mese (circa) tra un incontro e l'altro, sento la necessità di trovarmi con il resto dell'equipe.
    In previsione futura, mi piacerebbe lavorare presso un centro, come i doposcuola per essere costantemente in contatto con gli altri operatori.

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  2. Ciao. Sono d'accorod con te. Il rapporto con gli altri operatori è molto importante per mantenere una visione professionale di ciò che facciamo. con professionale non voglio dire che deve essere fredda, ma che deve contenere quella giusta distanza che ci permette di essere in empatia ma anche di restare in contatto con noi stessi per non confonderci con il mondo di coloro che aiutiamo nel nostro lavoro.
    Pensavo che forse un blogo o ... non so con facebook, non sono iscritta, non lo conosco e non so come funziona ... ma questo spazio potrebbe essere usato da vari operatori per mantenersi in contatto, confrontarsi, sfogarsi, chiedere aiuto, consultare l'operato degli altri, condividere risorse, .. e chi più ne ha più ne metta.
    Grazie per la condivisione e buona serata.

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  3. Si hai ragione!!
    Queste risorse della rete ci permettono a mantenerci in contatto a distanza e può essere un'ottima occasione per chi ha bisogno di aiuto, ma magari non se la sente o non ha colleghi con cui parlare liberamente.
    Grazie a te per questa bella conversazione!

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